La mostra al Palazzo delle Esposizioni consiste in una unica grande installazione concepita come una sorta di cosmogonia all'interno della quale sono disseminate le tracce e i frammenti dei corpi e delle nebulose che abitano l'universo, disposte in uno spazio approssimativamente ordinato come il quadrante di un orologio, enigmatico emblema di un tempo circolare, e lungo le assi di una X, simbolo dell'incognita, ma anche traccia di quella prima squadratura geometrica che continua a sovraintendere alle vertiginose visioni dell'autore. Questo nucleo si snoda al centro dello spazio, nel grande ambiente della sala 9, mentre sulla parete di fondo una serie di immagini si susseguono in dissolvenza. Vi compaiono le figure di alcuni personaggi, in grandezza naturale, che sembrano intenti a osservare qualcosa attraverso un'ampia cornice che di lì a poco appare come vano di una porta. Queste figure "sembrano, allo stesso tempo, osservare anche noi che a nostra volta li stiamo osservando" scrive l'autore nel testo che accompagna l'opera, sussurrato in mostra e leggibile. Un testo nel quale trapela, come accade in altre sue riflessioni, l'insofferenza verso l'amplificazione del ruolo sociale dell'artista. "Un'opera per essere autentica", afferma altrove, "deve dimenticare il suo autore". Ed è a un autore diverso da sé, che lascia soprintendere il novero di immagini che si susseguono nella proiezione. I diversi modi, infatti, in cui declina il perimetro della cornice o della soglia, figure emblematiche dell'idea di variante, scorrono a partire dall'Autoritratto nudo di Giorgio de Chirico del 1942.
La mostra è accompagnata da un catalogo con testi dell'artista, di Daniela Lancioni e di Maddalena Disch.