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2020
Condizione Assange
Intervista di Pietroiusti a Manetas I
Condizione Assange
Intervista di Cesare Pietroiusti a Miltos Manetas | I parte
A un certo punto hai deciso di realizzare dei ritratti di Julian Assange. Uno al giorno, o quasi. Quando hai cominciato?
Perché Assange? Perché quadri a olio?
23 febbraio 2020. Yanis Varoufakis e diversi compagni del Diem25 sono a Londra. Insieme con Brian Eno, Roger Waters, Vivienne Westwood, Zižek e altri stanno cercando di attirare l'attenzione dei media sul caso Assange: non è facile, a pochi interessa in quel momento, la condizione di un uomo "chiuso dentro" da ormai 8 anni. Però, di lì a pochi giorni, la condizione di Assange diventerà una condizione simile a quella di tutti noi, una cosa che non si poteva immaginare …
Io mi sento fortunato qui in Colombia, a poter andare e venire dal mio studio al Páramo ogni volta che ne ho voglia, ma sento che qualcosa devo fare anche io per Assange. Mi viene in mente Diogene che, nel mezzo di una guerra, si è messo a rotolare il suo barile per le strade, cercando di contribuire alla causa comune della pace. Mi metto allora a dipingere un ritratto di Assange. Non ho molto talento a dipingere visi e Assange ha una fisionomia piuttosto difficile, il quadro comunque non è brutto. Poi mi domando: che faccio con questa pittura? Mandarla alla mia galleria in conto vendita non mi sembra “politically correct”. La metto allora su Instagram a vedere se qualcuno la vuole ricevere gratis... Immediatamente, ci sono molte richieste! La regalo alla prima persona che l'ha chiesta e ne faccio subito una seconda. Stessa storia: scopro che molta gente vuole avere un ritratto di Julian Assange.
Cerco su Internet: è stato sequestrato l'11 aprile 2019 ma la sua saga era cominciata otto anni prima, quando si era auto-confinato all’Ambasciata dell’Ecuador a Londra, per precauzione, più meno come noi ora. Nel suo caso, cercava di sfuggire dalla vendetta del governo degli Stati Uniti. Ma la lunga quarantena non è stata sufficiente a salvarlo da quel “virus”. Ora si trova in pericolo di morte e la legge internazionale - che lo potrebbe salvare - è impotente: la sua detenzione risulta infatti illegale come anche il suo arresto e come la eventuale estradizione verso gli Stati Uniti (dove rischia la pena di morte).
Forse mi sono buttato in questo progetto “per aiutare Assange”, ma ora, con l’epidemia in corso, i termini della questione sono cambiati. Fatto sta che ho deciso di dipingere un ritratto per ogni giorno che lui passa in prigione. E, naturalmente, regalare tutto ad altre persone.
I ritratti vengono pubblicati sul tuo account Instagram e la prima persona che esprime un "like" diventa proprietaria del ritratto di quel giorno. Cosa c'è dietro questo meccanismo? Un sostegno a favore di una persona perseguitata? Un esperimento sull'uso dei social? Una valorizzazione del dono come critica del mercato dell'arte?
Il ritratto non va alla prima persona che esprime un “like” ma al primo che dichiara esplicitamente: “voglio questa pittura”. Se c’è un dono, sono anche io a riceverlo perché, se non ci fosse qualcuno che desidera il quadro, il progetto non esisterebbe, e probabilmente avrei smesso di dipingere Assange. Ripensando alle ragioni che mi hanno portato a fare tutto ciò, credo che all’inizio stavo cercando di stabilire una qualche forma di “relazione” con Assange. In un certo senso questa relazione si è manifestata quando ho visto che così tante persone erano entusiaste di ricevere i suoi ritratti: in qualche modo ho sentito che lui stesse diventando partecipe alla mia “lotta” come artista, e io alla sua – anche se si tratta di lotte molto differenti.
A proposito dei social media direi che, da quando esistono, sono il mio studio, tutto quello che faccio passa di là. Non c’era la volontà di esprimere una critica al mercato, direi piuttosto che è emerso il bisogno, pratico ma anche psicologico, che qualcuno acquisisse quei ritratti di Assange immediatamente, appena fatti. Non era importante ricevere denaro e neanche era rilevante il profilo dell’acquirente. Dovevo avere la sensazione di darli a qualcuno. E così è nata l’idea dell’offerta gratuita.
"Condizione Assange" al Palazzo delle Esposizioni è una mostra che è deliberatamente fatta per non poter essere visitata. Mi sembra che si ribaltino alcuni paradigmi consueti del concetto stesso di mostra, e di status del pubblico, e anche della funzione di un'istituzione museale. Questa mostra è fatta di quadri che, seppure concepiti per essere immediatamente donati ad altri, sono pur sempre tue opere. Come artista, come ti senti a offrirle per una operazione che sembra basata su una rinuncia, su un sacrificio, su una impossibilità? Oppure dobbiamo pensare che i tuoi ritratti di Assange siano non delle vere e proprie opere, ma dei pretesti per parlare di altro?
Per me, le opere non possono essere viste dal vero non perché il Museo è chiuso ma perché Assange vive, ormai da anni, da sequestrato: non lo puoi vedere di persona - anche se puoi vedere innumerevoli foto e video suoi. Abbiamo infatti deciso che, se per caso la sua condizione si risolve mentre la mostra è in corso, apriremo anche noi “Condizione Assange” al pubblico al più presto possibile, che sia per un mese, un giorno, un’ora, non ha importanza! Questo potrebbe succedere: lo vogliono morto e l’hanno lasciato in una prigione piena di COVID. D’altra parte, è possibile che la legge internazionale venga alla fine rispettata e che Assange venga rilasciato: speriamo! No, le opere sono per me delle vere pitture e non pretesti per parlare di altro. Il fatto è che per me la mostra NON è chiusa al pubblico: la mostra si fa in un’importante istituzione, che come tutte le istituzioni – e come forse tutti noi - oggi si sdoppia nella sua esistenza fisica e mediatica. Per questo infatti è importante dare evidenza alla mostra fuori del Museo, per “dar prova” che la mostra c’è anche se si tratta di una mostra da vedere esclusivamente attraverso fotografie, film, internet e racconti. Quindi come artista, non sento di stare facendo alcun sacrificio; all’opposto: sono grato ai regolamenti contro l’epidemia che hanno chiuso il Museo, cosi il concetto della mostra diventa ancora più intrigante.
Molti pensano che il fatto di ritenere o di far passare Assange come una vittima sia la semplificazione di una realtà molto complessa. La sua controversa figura stimola considerazioni e sensazioni ambivalenti. "Condizione Assange" è forse anche questo, la difficoltà di distinguere nettamente e una volta per tutte, il bene dal male, il giusto dall'ingiusto?
Assange sicuramente non è Gesù Cristo – nessuno ha mai accusato Gesù per crimini contro altre persone. Come Cristo pero, Assange – più di qualsiasi altra persona famosa - ha “lavorato” per ottenere la sua croce, e poi per farla il più pesante e irrevocabile possibile. Perché uno spirito creativo fa questo? Perché mettersi così tanto nei guai? È la domanda che pongo a me stesso ogni volta che comincio un ritratto. Finora la risposta che riesco a darmi è che Assange – in qualche modo come Cristo – ha ricevuto una informazione e ha deciso, invece di tacere, di passarla agli altri. È curioso, tutti e due si son messi nel business della Rivelazione... Anche la pittura è un tipo di rivelazione. Quando dipingi, delle cose, dei “dati”, appaiono e ti senti incaricato di portarli alla luce. Potresti fermarti ma non lo fai, e quindi poi devi affrontare le conseguenze.
A me sembra che questa condizione evidenzi anche il paradosso di una grande esposizione mediatica (almeno fino a poco tempo fa), insieme a una inaccessibilità – accuratamente assicurata, specie da inglesi e americani – alla espressione, alla comunicazione, al poter condividere le proprie ragioni con altri. Tutti parlano di te, ma nessuno ti dà la parola. Essere bombardati dai media, e allo stesso tempo non avere alcuno spazio nel discorso pubblico. Forse, qualcosa della "Condizione Assange" accomuna molte persone, anche al di là della quarantena da Covid-19. Che ne pensi?
Il progetto #AssangePower è a tutti gli effetti un mio lavoro.
“Condizione Assange”, questa mostra, invece è un progetto collettivo.
È una mia collaborazione con tutte le persone coinvolte, da Assange stesso, alla Giudice Vanessa Baraitser che lo tiene sequestrato, al fotografo che ha scattato la foto che uso per dipingere il suo ritratto, al collezionista che acquisisce il quadro, a voi di Palazzo delle Esposizioni, fino al corriere che porterà le opere dalla Colombia a Roma, e a tutte le persone che condivideranno le immagini della mostra nei social media.
È un autoritratto di gruppo, parla di noi che siamo rinchiusi e cerchiamo di vedere nel futuro, insieme con tantissimi che non hanno il lusso di una casa dove rinchiudersi né di guardare più in là dell’immediato – e per loro crudele – presente.
Roma e Bogotà, 30 aprile 2020
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